Una
volta era motivo di vanto, fonte di cura e di sacrifici che duravano
anni. Oggi è un’abitudine dimenticata ma
il
corredo della sposa è qualcosa che ha attraversato generazioni
e generazioni di famiglie italiane; è un pezzo della nostra storia e
quindi della nostra identità.
Secondo
la tradizione,
i
parenti della sposa facevano dono alla famiglia nascente di abiti,
biancheria e indumenti intimi.
Il corredo
(che
a volte poteva comprendere anche una “dote”
in
denaro, prevista per legge fino al 1975) “parlava” della
famiglia, rappresentandone agli occhi degli altri il gusto e
soprattutto la ricchezza.
Di
un corredo “a regola d’arte” facevano parte diversi pezzi, che
per le famiglie benestanti erano davvero numerosi: 12
o multipli di 12.
Non
mancavano le lenzuola di lino, rigorosamente ricamate a mano dalle
nonne o dalle zie; le coperte di lana o imbottite in piuma.
Anche
gli asciugamani erano in lino, così come il tovagliato.
Ed
il corredo personale della sposa? Lei doveva assolutamente avere
almeno 6 camicie da notte, 4 sottovesti bianche o rosa, 2 sottogonna,
12 paia di slip, 6 reggiseni giornalieri e 2 da sera, più 2 vesti da
camera.
Insomma,
un vero e proprio armamentario che le
famiglie con figlie femmine iniziavano a preparare già dalla
primissima infanzia delle bambine. Le
materie prime e la lavorazione artigianale rendevano la biancheria
così resistente all’usura che non di rado a ogni generazione si
tramandavano diversi pezzi fra quelli avuti in dono nel corredo. Chi
ha la fortuna di poter avere
in dono vecchia biancheria da letto di famiglia,
potrà constatare la maestria di nonne e bisnonne che passavano
intere giornate a ricamare straordinari copriletto in cotone e
meravigliose lenzuola in lino
che
ancora oggi risultano più belle, resistenti e utili della
biancheria contemporanea puramente industriale.
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